domenica 31 ottobre 2010

Metti i soldi dove hai messo la bocca for dummies

Del leggere le cose che uno scrive

E’ buffo accorgersi come, spesso, i lettori di un post si concentrino su aspetti marginali del post stesso, o peggio travisino completamente il senso del post stesso.

Sono stato accusato di volere l’abolizione delle ricerche umanistiche in favore delle materie scientifiche, ma il post non parlava di questo; parlava della necessità di guardare con un’ottica laica alle ricerche stesse, senza dogmi e senza cose intoccabili.

Avrei potuto citare, anziché la filologia romanza – che era una provocazione voluta - la teoria delle stringhe, la gravitazione quantistica, le ricerche sull’ipotesi di Reimann e molto molto molto altro ancora. Il ragionamento era e resta indifferente rispetto all’argomento specifico, perchè la contrapposizione non è, come credono gli umanisti, fra ricerche umanistiche e ricerche scientifiche, ma fra ricerche che rendono e ricerche che non rendono. Sarebbe stata esattamente la stessa cosa.

Perchè parlo di “rendere”? Perchè metto i soldi in un discorso legato alla ricerca ?

Perchè la ricerca pubblica è pagata, per definizione, dai soldi dei cittadinim e la ricerca è solo uno dei possibili usi di questi quattrini. Se proponete di aumentare i fondi per la ricerca, state proponendo, di fatto, di levare i soldi da qualche altra parte.

Se ad esempio proponente di portare l’investimento in ricerca in Italia al 2% del PIL, state proponendo nei fatti di tagliare un punto percentuale da tutte le altre spese. Questo corrisponde, a valori attuali, a tagliare diciotto miliardi di euro da tutte le altre attuali voci di spesa. Tanto per capirsi, si calcola che una riforma strutturale come abolire le provincie valga circa quattro miliardi di euro. Ne dovete fare altre tre e mezzo per arrivare ai diciotto miliardi di cui sopra.

Ora, supponiamo che voi siate un ricercatore e vogliate farvi finanziare una ricerca. Volete, in pratica, soldi. Ci sono, generalmente parlando, tre tipi di impieghi di risorse nel bilancio dello stato:

  • Le spese fondamentali. Se le cancellate, avrete immediatamente gravi conseguenze per il paese. Non parliamo di una cosa che succederà fra trent’anni, parliamo di una cosa che succederà domani o fra un mese. Per esempio, non pagare le forze dell’ordine.
  • Una spesa pura e semplice. E’ equivalente ad acquistare un paio di scarpe di lusso, un orologio di Cartier o un altro genere di apparenza. Non deve fornire alcuna resa pratica che non sia il suo mero possesso. Bisogna averla per poterla mostrare agli altri. E’ un segno di prestigio. Per esempio, le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia.
  • Un investimento. In questo caso la società ne trae un beneficio superiore (NETTAMENTE superiore) rispetto all’investimento effettuato. La resa può essere a breve, medio o lungo termine, e la resa può essere incerta ma la resa dell’investimento in sé è parte integrante dell’investimento.

Ora, torniamo alla vostra ricerca.

Dalla prima spesa siete esclusi d’ufficio, perchè per quanto ne siate convinti, la ricerca su la Pisa medievale è strutturalmente diversa dal pronto soccorso. Quindi potete scegliere cosa è la vostra ricerca fra una spesa di lusso e un investimento. Scegliete voi, ma scegliere implica che dovete obbedire alle relative regole.

SE è una spesa di prestigio, DEVE dare prestigio. Nessuno vi chiede che sia economicamente utile, ma deve fare terribilmente fico fare la ricerca che fate. Una ricerca che interessa a tre sfigati in giro per il mondo non rientra in questa categoria.

Inoltre, è una spesa. Ricordatevelo bene: non ci sono soldi gratis. Uno non è ricco perchè compra il rolex, compra il rolex perchè è ricco. PRIMA diventate ricchi, POI comprate il rolex. PRIMA diventate ricchi, poi mettete quantità abominevoli di soldi su ricerche di prestigio.

Oppure è un investimento. Fate parte del portafoglio di investimenti che lo stato italiano effettua per generare ricchezza nel breve, medio e lungo periodo. Come tutti i gestori di portafogli di investimenti, bisogna mantenere un buon equilibrio per garantire una resa adeguata: ci devono essere investimenti a breve, a medio e lungo termine, con rese e rischi diversi, in settori molto diversi.

Saper gestire un portafoglio del genere è estremamente difficile, ed è frutto di continui aggiustamenti, errori ed equilibri. Di errori se ne fanno moltissimi, ma si sta facendo ricerca, ed è normale sbagliare; tanto più ci saranno errori quanto più la ricerca era innovativa.

Quello che NON cambia è che si suppone che l’investimento renda. Può essere un investimento sballato, e allora lo si cataloga sotto i fallimenti, ma non può NON rendere per principio. DEVE avere un effetto economico sul breve, medio o lungo periodo. Deve, perchè deve contribuire con gli altri investimenti a garantire che le risorse investite ritornino, prima o poi, allo stato – come tasse o come brevetti la cosa è indifferente. Ma deve essere pensato, fin dall’inizio, come torneranno indietro i soldi investiti.

In pratica, quello che sto cercando di fare è applicare quel metodo razionale che personaggi come Machiavelli – vorrei farlo notare, certamente non un fisico – hanno dimostrato applicabili con profitto ad ambiti più ampi della semplice indagine fisica. Machiavelli, lo ricordo, ha proposto di guardare la realtà per quella che è, e non per quella che vorremmo che fosse, e di regolare il nostro agire di conseguenza; il nostro Niccolò non è compiaciuto delle scelleratezze necessarie a mantenere un regno, ma consta che esse sono necessarie in un paese come l’Italia del Quattrocento e del Cinquecento.

Cosa ci dice Machiavelli al proposito? Che “sarebbe bello” che tutti i giovani in gamba potessero avere le risorse per fare tutte le ricerche che piacciono loro.

La realtà ci dice che, nella pratica, possono esistere solo abbastanza ricerche quante sono le risorse, che ci saranno una MINIMA frazione di ricerche di prestigio, e presumibilmente una grossa fetta di ricerche a breve e medio termine, e alcune ricerche sul lungo termine. Altri equilibri comportano solo consumo inutile di risorse per ottenere prestigio – in pratica, la versione moderna del nobile che spende tutto quello che ha per garantirsi un tenore di vita che non gli appartiene più, anziché occuparsi come potrebbe dei propri affari.

Voi di che ricerca vi occupate?

sabato 16 ottobre 2010

Metti i soldi dove hai messo la bocca

Il titolo del post non è un invito a pratiche sessuali bizzarre, quanto un modo di dire americano molto efficace: si richiede di dimostrare con i propri soldi che si crede in qualcosa su cui si spendono molte parole.

Mi veniva in mente questo motto a proposito dell’università; qui a Pisa, in particolare, per protestare contro la riforma Gelmini, diverse facoltà hanno sospeso la didattica, con grande plauso dei professori.

Professori che, ovviamente, hanno “messo la bocca” sull’importanza dell’università in generale e delle loro facoltà in particolare. A loro dire vale la pena fare un laureato e vale la pena fare ricerca qui: ossia un laureato capace di produrre meglio, e la ricerca fatta permetterà al paese di crescere di più.

Io credo che queste affermazioni siano false, e credo che l’Università di Pisa (e molta università italiana) abbia un rapporto con il lavoro vero simile a quello fra un culturista e un atleta. Un atleta sviluppa i muscoli per correre meglio, saltare meglio, nuotare meglio; ha uno scopo molto preciso in quello che fa, e lavora di conseguenza per ottenerlo. Un culturista invece sviluppa i muscoli per sviluppare i muscoli; può accadere che abbia capacità atletiche, ma è una cosa che accade per caso, ed è estranea al progetto iniziale.

Comunque, quella sopra è solo la mia idea, e non è l’oggetto del post. L’oggetto del post è un altro, ossia i soldi.

La proposta è la seguente: facendo una stima che ci siano circa 100 ordinari all’Università di Pisa (credo siano molti di più, ma al momento non ho un dato preciso, Lunedì vedo se riesco a recuperarlo), ognuno di loro può tranquillamente ipotecare la casa o fare un mutuo per 100.000 euro presso una banca. Non è una cifra particolarmente elevata, e con un tasso del 4% fa circa 500 euro al mese per trent’anni; niente di straordinario, dato lo stipendio di un ordinario.

In totale, questa cifra fa 10 milioni di euro, che i professori possono usare per finanziare imprese create e alimentate da studenti, assegnisti, ricercatori provenienti dall’Università. COME debbano organizzare la cosa, COME debbano farla, COME debbano gestirla, COME scegliere i progetti è un LORO problema. Loro sostengono di essere persone capaci, tanto è vero che insegnano; molto bene, hanno quindi tutti gli strumenti per creare un fondo di investimento perfettamente funzionante.

Ovviamente, se scelgono male e finanziano ricerche farlocche anziché cose utili, si troveranno in breve ad aver esaurito il capitale senza aver ottenuto nulla di concreto; si troveranno cioè a scoprire la realtà del mondo, che se ne frega se “la mia università ha 650 anni”, oppure “queste ricerche sono importantissime” e altre amenità del genere. Scopriranno che fare ricerche su argomenti che hanno un impatto limitato sul mondo reale, come la filologia romanza, appartiene alla categoria dei beni di lusso: te li puoi permettere finchè hai tanti soldi, ma quando le risorse sono scarse è bene magari evitarle.

Personalmente credo che una cosa del genere non accadrà MAI. Perchè i soldi sono soldi, e la ricerca è importante, ma è bene se la paga qualcun’altro.