domenica 14 novembre 2010

Perchè vince?

Qualche anno fa andai a parlare con l’assessore all’Istruzione della mia città. Ero andato lì semplicemente perchè avevo scoperto che, secondo il regolamento in vigore, i dipendenti a tempo indeterminato avevano priorità rispetto ai cocopro, alle partite IVA individuali e, infine, ai praticanti negli studi professionali. La priorità era a prescindere dal reddito, ma era determinata esclusivamente dalla classe di appartenenza.

L’assessore mi ricevette senza grandi problemi: era una signora sui cinquanta, cinquantacinque anni, molto gentile e molto disponibile. Ricordo che ci volle molto tempo – molto tempo – a convincerla che quel regolamento era completamente sballato. Alla fine le feci un esempio banale: “Un ragazzo con un contratto di 800 euro da cocopro, assunto dal Comune, ha meno diritto all’asilo nido per suo figlio del direttore amministrativo che prende 5.000 euro al mese”. Ricordo molto bene lo stupore della persona di fronte all’osservazione; semplicemente non si era mai posto il problema in questi termini.

La cosa buffa era che si trattava del periodo in cui tutta la sinistra parlava dei cocopro e dei precari, del fatto che i giovani erano penalizzati (era l’epoca dei mutui per i precari, se qualcuno se la ricorda). In pratica, a fronte di tante parole, quando si trattava di andare al sodo – ossia di decidere a chi permettere di accedere a un servizio pubblico, e chi lasciare fuori – si tornava al normale modo di ragionare della sinistra: i dipendenti sono buoni e giusti, gli altri sono cattivi evasori fiscali che non meritano nulla.


Perchè vince? Mentre pensate a una risposta diversa dal “perchè ha le tv”, andiamo avanti.

Alcuni anni fa un certo signore emiliano divenne presidente del consiglio. Una delle riforme che propose fu quella di allegerire il cosidetto “cuneo fiscale”, in pratica la differenza fra quello che il lavoratore dipendente si mette in tasca e quello che tira fuori l’azienda – oggi il rapporto è circa 6 a 10.

In effetti il signore emiliano divenne presidente del consiglio, e in effetti attuò la riduzione del cuneo fiscale; alla fine dell’anno in cui fu varata la riforma, una mia collega rinnovò il suo contratto di cocopro, ma dovette accettare una riduzione dello stipendio, perchè “erano aumentati i contributi”.

Che cosa era successo?

La riduzione del cuneo fiscale voleva dire che lo stato, nell’immediato, non avrebbe incassato dei soldi; la teoria era che la riduzione avrebbe favorito un’occupazione più stabile, e la stabilizzazione dei precari. Questo avrebbe potuto comportare un aumento del gettito fiscale, in grado di migliorare i conti dello stato e quindi compensarli della misura stessa.


In pratica, i conti dello stato italiano sono cosa delicata, e quindi se tiri fuori subito X, devi avere un posto che ti dia subito X per compensarlo. Quindi il signore emiliano fece quanto segue:


  • le aziende che avevano lavoratori dipendenti videro ridurre del 3% i costi dei lavoratori dipendenti;

  • i dipendenti delle stesse videro ridurre del 2% le trattenute in buste paga;

  • furono aumentati del 2% i contributi a carico dei cocopro

  • furono aumentati del 3% i contributi a carico delle aziende che assumevano i cocopro.

La giustificazione era che si intendeva ridurre la convenienza dei cocopro rispetto ai lavoratori dipendenti, favorendo quindi la loro assunzione a tempo indeterminato. Questa era la teoria. La fisica del sistema, come sempre, è un’altra cosa, e il signore emiliano – che era fra l’altro un notissimo economista – non poteva ignorarla.

Le aziende che assumono cocopro non assumono cocopro per pura cattiveria – non tutte almeno – ma semplicemente perchè il mercato in Italia è fatto così. La differenza di costo fra un cocopro e un dipendente è tale da non poter essere veramente toccata da una riduzione tutto sommato così piccola.

In compenso, però, le aziende non vogliono vedere aumentare i costi del personale, dato che spesso lavorano su gare e su progetti a budget determinato. Quindi non hanno fatto altro che scaricare sui loro cocopro il costo extra che avrebbero dovuto pagare.

Ora vediamo i dipendenti a tempo indeterminato. Loro un piccolo beneficio l’hanno avuto, ma il vero, grande beneficio l’hanno avuto le imprese con moltissimi dipendenti. Queste si sono viste riconoscere un credito di imposta molto ampio, in proporzione al numero dei loro dipendenti. E’ vero che originariamente erano state escluse alcune tipologie di aziende già “ricche”, come banche e assicurazioni, ma stranamente la legge non era fatta molto bene, e con un ricorso le imprese escluse riuscirono ad ottenere di essere riammesse al beneficio.

Quindi, riassumiamo brevemente:

  • i cocopro hanno, di fatto, visto una decurtazione del 5%;

  • le aziende che assumevano cocopro sono andata a pari;

  • i dipendenti hanno avuto un piccolo beneficio del 2%;

  • le grandi imprese hanno avuto un grande beneficio in forma di credito di imposta.

Ossia, se ragionate come ragiono io, i cocopro hanno finanziato le grandi imprese, a costo zero per lo stato.

Allora, rifaccio la domanda: perchè vince?

La risposta è semplice: perchè c’è una generazione di persone che lo vota. E lo vota perchè l’alternativa è fatta di persone che, AD OGGI, non riescono ANCORA a vedere lo schifo che fa un regolamento per l’assegnazione dei posti negli asili nido in cui conta la classe e non il reddito.

Vince perchè sa che, al di là delle belle parole, per loro – per noi – dall’altra parte non c’è nulla.

Vince perchè da un messaggio forse non entusiasmante, ma sincero.

"Arrangiatevi"

domenica 7 novembre 2010

Il mestiere più bello del mondo

Il codice è lì che ti aspetta, devi aggiungere una nuova funzione al sistema di catalogazione.

Devi montarla dentro una struttura esistente. Puoi prendere il pezzo di codice e attaccarlo come una palla di fango a tutto il resto del sistema; è una cosa che si può fare; si fa anche quando si è di corsa. Ma oggi hai un po’ più di tempo. Puoi guardare con un minimo di calma in giro, e capire cosa c’è davvero da fare.

Guardi dove devo creare la nuova funzione. Il codice funziona, ma non è recentissimo – ha un anno, più o meno.

Esamini i test che ne verificano il funzionamento; ce ne sono una decina. Sono confusi, esprimono male quello che vogliono fare. Cominci piano a correggerli, a renderli più chiari ed espliciti. Ne aggiungi altri. Ora i test sono chiari. E’ chiaro cosa stai provando – in questo caso, la finestra del programma a cui dovrà essere collegata la nuova funzione. Hai rinforzato le fondamenta su cui lavorare. Ora devi andare sopra, e cominciare a costruire.

Guardi il codice che gestisce la finestra. Non è male, ma ovviamente va rivisto. Va rifattorizzato. Questa è la parte che ti piace del tuo mestiere – stranamente, non aggiungere cose nuove ai sistemi. Rivedere il codice esistente e cercare di capire come potrebbero essere scritti meglio; rendere i programmi diventano più stabili, più flessibili e più facili da comprendere e da modificare.

E’ una sfida intellettuale continua. E’ una via di mezzo fra capire una dimostrazione matematica, e riparare una vecchia motocicletta che dovrebbe partire e non lo fa.

Hai davanti un sistema che fa alcune cose utili, altrimenti non saresti lì a guardarlo; al suo interno è contenuta conoscenza importante – quella che noi chiamiamo conoscenza del dominio applicativo. Questa conoscenza è ben nascosta nel profondo delle righe del codice, in cicli annidati, in classi dai nomi incomprensibili, in righe e righe di codice.

Comincia ad esaminare il sistema. Procedi con calma. Scrivi un test – un programma che verifica un altro programma - prima di fare modifiche. Poi fai un piccolo cambiamento: modifichi il nome di una variabile qui, il nome di un metodo la. Trovi un piccolo pezzo di codice che può essere semplificato; trovi una classe che era nascosta, e che può essere resa esplicita – un concetto che era espresso implicitamente, e che assume vita propria.

Il lavoro è lento, paziente, costante. Non si finisce in un’ora. Neppure in un giorno. Smonti un pezzetto alla volta, sperando di andare nella direzione giusta. Definisci concetti nuovi e li leghi assieme. Poi, lentamente, acquisti forza. I concetti si strutturano in ragionamenti, i ragionamenti in teorie. Il tuo sistema non parla più di oggetti binari, tratta informazioni complesse. Puoi leggere il codice del tuo programma e vedere quello che vuol fare e non semplicemente cosa sta facendo.

Poi, all’improvviso cade un diaframma. Sono momenti particolari. Hai lavorato una settimana, un mese a semplificare e riscrivere il codice, magari mentre facevi altro. Poi rimuovi un frammento, e ti accorgi che una gran parte del tuo sistema si è semplificato. E’ diventato migliore – ti da conforto guardarlo. Lo provi, e funziona perfettamente. E’ la bellezza del codice: riesce ad essere elegante e robusto insieme.

Ti accorgi che è tardi e stai facendo un lavoro che il tuo capo non ti pagherà mai. Sei rimasto solo a tu a guardare il tuo codice. Ma a te non importa. Il codice è codice, e scriverlo e rifattorizzarlo è il mestiere più bello del mondo.

martedì 2 novembre 2010

Una rosa è una rosa è una rosa

Nel post precedente ho accennato alle opportunità che esistono per gli umanisti al di fuori del mondo accademico e della ricerca. Qui di seguito riporto alcune possibili opzioni.

E’ importante però ricordare che non esiste l’Eldorado, e non esiste il pasto gratis; queste opportunità non sono facili e non sono immediate, ed è probabile che la formazione dell’umanista medio sia largamente insufficiente. Come dicevo prima, abbiamo un culturista che deve diventare uno sportivo: c’è molto lavoro da fare per imparare a fare un buon uso dei muscoli che possiede.

Semplificando molto, esistono due capacità umanistiche che il resto del mondo può trovare interessanti – e per le quali può quindi essere disposto a sganciare moneta:

  • La capacità di organizzare, secondo strutture semantiche raffinate, grandi quantità di informazioni complesse e strutturate.
  • La disponibilità grandi quantità di contenuti di carattere storico, artistico e letterario.

La prima capacità è la forse la meno considerata, ma è un bisogno di cui si sta rapidamente sentendo e affermando la necessità; lo sviluppo dei sistemi informatici sta semplicemente facendo esplodere la quantità di informazioni che un’organizzazione deve trattare. Per una piccola azienda come la mia si parla di codice sorgente, mail da e verso clienti, partner e fornitori, documentazione tecnica di riferimento, proposte di progetto e moltissimo altro ancora.

La capacità di strutturare contenuti a più livelli, che è propria degli umanisti, è quella di cui si avrebbe bisogno.

Il primo livello è quello “tecnico”, del singolo documento. Io faccio il progettista software in una piccola realtà, e passo metà del tempo a scrivere proposte tecniche, rapporti, progetti esecutivi e quant’altro; la capacità di organizzare un documento in forma chiara e intellegibile, nonché la necessità di leggere documenti tecnici e comprenderne le lacune concettuali è quello di cui si sente enormemente il bisogno. Se avete mai corretto una tesi di laurea di ingegneria, sapete di cosa sto parlando; e una tesi è tipicamente scritta molto meglio di una risposta a un bando di gara.

Il secondo livello è quello dell’organizzazione della documentazione. Come dicevo prima, oggi le informazioni di un’azienda sono spesso organizzate in modo assolutamente causale, privo di struttura e di criteri che ne permettano la rapidità di reperimento. Qui è fondamentale la capacità che è propria degli archivisti e dei bibliotecari di strutturare informazioni secondo categorie multilivello; se fate vedere un sistema di knowledge management a qualcuno che si è occupato di fare assoggettazione, si metterà a ridere per la semplicità degli strumenti utilizzati.

Il terzo livello è quello legato alla strutturazione dei concetti. Oggi i sistemi informatici cercano di fornire risposte più sensate, cercano di darvi quello che volete e non quello che avete chiesto, interpretando le vostre richieste e cercando di contestualizzarle; per esempio, un motore di ricerca potrebbe farvi apparire una scheda su Galileo se voi cercate “storia dell’astronomia”. Si tratta di un collegamento semantico fra due concetti diversi, non correlati in modo puramente letterario. In questo caso si parla di utilizzare ontologie , ossia insiemi di concetti collegati tramite relazioni. I filosofi su questo dovrebbero ritrovarsi.

Se invece parliamo di contenuti veri e propri, il riferimento è legato piuttosto all’uso dei contenuti per scopi di intrattenimento. Altri scopi – tipicamente l’educazione – sono ovviamente già esauriti dal mondo accademico e scolastico, di cui purtroppo si riconoscono i limiti.

In questo caso, gli utilizzi sono legati a tutti coloro che usano il contenuto per creare prodotti di intrattenimento. Di seguito faccio una breve rassegna.

  • Giochi di ruolo. Sono sempre alla ricerca di nuovi spunti per ambientazioni e background.
  • Giochi per computer. In questo caso si va da simulazioni strategiche tipo Europa Universalis III a giochi di azione tipo Assassin Creed. L’ultima puntata di Assassin Creed è ambientata nell’Italia rinascimentale – periodo storico che ha enorme interesse per tutto il mondo dell’intrattenimento.
  • Produzioni cinematografiche, romanzi e racconti, eccetera

Ovviamente, questi sono solo esempi per far capire dove vado a parare: dovete capire a chi può piacere quello che fate, e perché; dovete capire perché dovrebbe darvi dei soldi; dovete domandarvi se ve li darà oggi, e domani non più.

In pratica dovete capire come diventare utili per gli altri, e quindi lasciare che siano gli altri a interpretare le vostre capacità e le vostre conoscenze. E' una cosa poco divertente e poco simpatica - tipicamente io scopro di sapere un sacco di cose inutili, e che me ne mancano moltissime che io detesto ma che servono al mio cliente.

E' quello che si chiama far parte di una società: gli altri dicono cosa è utile che tu faccia.


domenica 31 ottobre 2010

Metti i soldi dove hai messo la bocca for dummies

Del leggere le cose che uno scrive

E’ buffo accorgersi come, spesso, i lettori di un post si concentrino su aspetti marginali del post stesso, o peggio travisino completamente il senso del post stesso.

Sono stato accusato di volere l’abolizione delle ricerche umanistiche in favore delle materie scientifiche, ma il post non parlava di questo; parlava della necessità di guardare con un’ottica laica alle ricerche stesse, senza dogmi e senza cose intoccabili.

Avrei potuto citare, anziché la filologia romanza – che era una provocazione voluta - la teoria delle stringhe, la gravitazione quantistica, le ricerche sull’ipotesi di Reimann e molto molto molto altro ancora. Il ragionamento era e resta indifferente rispetto all’argomento specifico, perchè la contrapposizione non è, come credono gli umanisti, fra ricerche umanistiche e ricerche scientifiche, ma fra ricerche che rendono e ricerche che non rendono. Sarebbe stata esattamente la stessa cosa.

Perchè parlo di “rendere”? Perchè metto i soldi in un discorso legato alla ricerca ?

Perchè la ricerca pubblica è pagata, per definizione, dai soldi dei cittadinim e la ricerca è solo uno dei possibili usi di questi quattrini. Se proponete di aumentare i fondi per la ricerca, state proponendo, di fatto, di levare i soldi da qualche altra parte.

Se ad esempio proponente di portare l’investimento in ricerca in Italia al 2% del PIL, state proponendo nei fatti di tagliare un punto percentuale da tutte le altre spese. Questo corrisponde, a valori attuali, a tagliare diciotto miliardi di euro da tutte le altre attuali voci di spesa. Tanto per capirsi, si calcola che una riforma strutturale come abolire le provincie valga circa quattro miliardi di euro. Ne dovete fare altre tre e mezzo per arrivare ai diciotto miliardi di cui sopra.

Ora, supponiamo che voi siate un ricercatore e vogliate farvi finanziare una ricerca. Volete, in pratica, soldi. Ci sono, generalmente parlando, tre tipi di impieghi di risorse nel bilancio dello stato:

  • Le spese fondamentali. Se le cancellate, avrete immediatamente gravi conseguenze per il paese. Non parliamo di una cosa che succederà fra trent’anni, parliamo di una cosa che succederà domani o fra un mese. Per esempio, non pagare le forze dell’ordine.
  • Una spesa pura e semplice. E’ equivalente ad acquistare un paio di scarpe di lusso, un orologio di Cartier o un altro genere di apparenza. Non deve fornire alcuna resa pratica che non sia il suo mero possesso. Bisogna averla per poterla mostrare agli altri. E’ un segno di prestigio. Per esempio, le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia.
  • Un investimento. In questo caso la società ne trae un beneficio superiore (NETTAMENTE superiore) rispetto all’investimento effettuato. La resa può essere a breve, medio o lungo termine, e la resa può essere incerta ma la resa dell’investimento in sé è parte integrante dell’investimento.

Ora, torniamo alla vostra ricerca.

Dalla prima spesa siete esclusi d’ufficio, perchè per quanto ne siate convinti, la ricerca su la Pisa medievale è strutturalmente diversa dal pronto soccorso. Quindi potete scegliere cosa è la vostra ricerca fra una spesa di lusso e un investimento. Scegliete voi, ma scegliere implica che dovete obbedire alle relative regole.

SE è una spesa di prestigio, DEVE dare prestigio. Nessuno vi chiede che sia economicamente utile, ma deve fare terribilmente fico fare la ricerca che fate. Una ricerca che interessa a tre sfigati in giro per il mondo non rientra in questa categoria.

Inoltre, è una spesa. Ricordatevelo bene: non ci sono soldi gratis. Uno non è ricco perchè compra il rolex, compra il rolex perchè è ricco. PRIMA diventate ricchi, POI comprate il rolex. PRIMA diventate ricchi, poi mettete quantità abominevoli di soldi su ricerche di prestigio.

Oppure è un investimento. Fate parte del portafoglio di investimenti che lo stato italiano effettua per generare ricchezza nel breve, medio e lungo periodo. Come tutti i gestori di portafogli di investimenti, bisogna mantenere un buon equilibrio per garantire una resa adeguata: ci devono essere investimenti a breve, a medio e lungo termine, con rese e rischi diversi, in settori molto diversi.

Saper gestire un portafoglio del genere è estremamente difficile, ed è frutto di continui aggiustamenti, errori ed equilibri. Di errori se ne fanno moltissimi, ma si sta facendo ricerca, ed è normale sbagliare; tanto più ci saranno errori quanto più la ricerca era innovativa.

Quello che NON cambia è che si suppone che l’investimento renda. Può essere un investimento sballato, e allora lo si cataloga sotto i fallimenti, ma non può NON rendere per principio. DEVE avere un effetto economico sul breve, medio o lungo periodo. Deve, perchè deve contribuire con gli altri investimenti a garantire che le risorse investite ritornino, prima o poi, allo stato – come tasse o come brevetti la cosa è indifferente. Ma deve essere pensato, fin dall’inizio, come torneranno indietro i soldi investiti.

In pratica, quello che sto cercando di fare è applicare quel metodo razionale che personaggi come Machiavelli – vorrei farlo notare, certamente non un fisico – hanno dimostrato applicabili con profitto ad ambiti più ampi della semplice indagine fisica. Machiavelli, lo ricordo, ha proposto di guardare la realtà per quella che è, e non per quella che vorremmo che fosse, e di regolare il nostro agire di conseguenza; il nostro Niccolò non è compiaciuto delle scelleratezze necessarie a mantenere un regno, ma consta che esse sono necessarie in un paese come l’Italia del Quattrocento e del Cinquecento.

Cosa ci dice Machiavelli al proposito? Che “sarebbe bello” che tutti i giovani in gamba potessero avere le risorse per fare tutte le ricerche che piacciono loro.

La realtà ci dice che, nella pratica, possono esistere solo abbastanza ricerche quante sono le risorse, che ci saranno una MINIMA frazione di ricerche di prestigio, e presumibilmente una grossa fetta di ricerche a breve e medio termine, e alcune ricerche sul lungo termine. Altri equilibri comportano solo consumo inutile di risorse per ottenere prestigio – in pratica, la versione moderna del nobile che spende tutto quello che ha per garantirsi un tenore di vita che non gli appartiene più, anziché occuparsi come potrebbe dei propri affari.

Voi di che ricerca vi occupate?

sabato 16 ottobre 2010

Metti i soldi dove hai messo la bocca

Il titolo del post non è un invito a pratiche sessuali bizzarre, quanto un modo di dire americano molto efficace: si richiede di dimostrare con i propri soldi che si crede in qualcosa su cui si spendono molte parole.

Mi veniva in mente questo motto a proposito dell’università; qui a Pisa, in particolare, per protestare contro la riforma Gelmini, diverse facoltà hanno sospeso la didattica, con grande plauso dei professori.

Professori che, ovviamente, hanno “messo la bocca” sull’importanza dell’università in generale e delle loro facoltà in particolare. A loro dire vale la pena fare un laureato e vale la pena fare ricerca qui: ossia un laureato capace di produrre meglio, e la ricerca fatta permetterà al paese di crescere di più.

Io credo che queste affermazioni siano false, e credo che l’Università di Pisa (e molta università italiana) abbia un rapporto con il lavoro vero simile a quello fra un culturista e un atleta. Un atleta sviluppa i muscoli per correre meglio, saltare meglio, nuotare meglio; ha uno scopo molto preciso in quello che fa, e lavora di conseguenza per ottenerlo. Un culturista invece sviluppa i muscoli per sviluppare i muscoli; può accadere che abbia capacità atletiche, ma è una cosa che accade per caso, ed è estranea al progetto iniziale.

Comunque, quella sopra è solo la mia idea, e non è l’oggetto del post. L’oggetto del post è un altro, ossia i soldi.

La proposta è la seguente: facendo una stima che ci siano circa 100 ordinari all’Università di Pisa (credo siano molti di più, ma al momento non ho un dato preciso, Lunedì vedo se riesco a recuperarlo), ognuno di loro può tranquillamente ipotecare la casa o fare un mutuo per 100.000 euro presso una banca. Non è una cifra particolarmente elevata, e con un tasso del 4% fa circa 500 euro al mese per trent’anni; niente di straordinario, dato lo stipendio di un ordinario.

In totale, questa cifra fa 10 milioni di euro, che i professori possono usare per finanziare imprese create e alimentate da studenti, assegnisti, ricercatori provenienti dall’Università. COME debbano organizzare la cosa, COME debbano farla, COME debbano gestirla, COME scegliere i progetti è un LORO problema. Loro sostengono di essere persone capaci, tanto è vero che insegnano; molto bene, hanno quindi tutti gli strumenti per creare un fondo di investimento perfettamente funzionante.

Ovviamente, se scelgono male e finanziano ricerche farlocche anziché cose utili, si troveranno in breve ad aver esaurito il capitale senza aver ottenuto nulla di concreto; si troveranno cioè a scoprire la realtà del mondo, che se ne frega se “la mia università ha 650 anni”, oppure “queste ricerche sono importantissime” e altre amenità del genere. Scopriranno che fare ricerche su argomenti che hanno un impatto limitato sul mondo reale, come la filologia romanza, appartiene alla categoria dei beni di lusso: te li puoi permettere finchè hai tanti soldi, ma quando le risorse sono scarse è bene magari evitarle.

Personalmente credo che una cosa del genere non accadrà MAI. Perchè i soldi sono soldi, e la ricerca è importante, ma è bene se la paga qualcun’altro.

domenica 29 agosto 2010

L'Ultima Generazione

Qualche giorno fa ho avuto una discussione con un collega a proposito di un articolo apparso su “La Stampa”, in cui veniva raccontata la vicenda di una persona di 28 anni che viveva con 14 euro al giorno.

Io criticavo in modo piuttosto feroce il caso raccontato: si parla di una persona figlio di artigiani, che ha deciso dopo il diploma di continuare gli studi, scegliendo Filosofia. Dopo la laurea in Filosofia ha scoperto che non c’erano molti posti per laureati come lui, e aveva deciso di riprendere gli studi, e ha deciso di dedicarsi a Psicologia. Nel frattempo ha rifiutato un posto ben pagato da barista, a quanto racconta.

Perchè sono così critico? Perchè in entrambi i casi la scelta è fatta seguendo semplicemente le proprie inclinazioni personali, e non la realtà del mondo circostante. Noi prendiamo una laurea per imparare cose utili, che ci permettano di partecipare alla società civile di cui siamo parte; e questo vuol dire che sono gli altri anzitutto, e non noi stessi, a stabilire cosa è utile, e cosa non lo è. E il modo in cui gli altri lo stabiliscono è sempre il solito: sono disposti a darci dei soldi per quello che sappiamo fare.

Quello che ho detto sopra non è la descrizione di una ipotetica società da me idealizzata: è la società in cui viviamo tutti i giorni. Protestare che questo “non è giusto”, sostenere che questo “non permette alle persone di seguire le proprie aspirazioni” e altre affermazioni del genere è solo un inutile dispendio di energie. La società la fuori – ossia tutte le altre persone che la compongono insieme a noi – non sono interessati a queste affermazioni; o meglio, lo sono in via di principio, il che vuol dire che lo sono finchè non devono decidere dove devono mettere davvero i loro soldi. Quando si tratterà di aprire il portafoglio sceglieranno SEMPRE quello che LORO ritengono più utile.

Una persona che a diciotto anni decida di prendere una laurea sta prendendo un grossissimo rischio: sta scomettendo che il tempo che perderà per conseguire il suo titolo di studio gli permetterà di trovare un lavoro migliore e meglio pagato; dovrebbe quindi avere un’idea di quali sono gli sbocchi occupazionali, le aree di crescita e quelle da evitare come la peste. Se non sa bene cosa scegliere, sarebbe bene che evitasse di scegliere a caso, e possibilmente si trovasse rapidamente un lavoro; almeno vedrebbe le cose da dentro, e potrebbe fare una scelta un minimo più ragionata.

Scegliere Filosofia come laurea per trovare il lavoro è semplicemente folle: i settori che assorbivano maggiormente questo tipo di laureati sono la scuola e l’università, ed entrambi sono da anni a corto di soldi; scegliere poi Psicologia è anche più scellerato: si calcola che a breve avremo CENTOMILA psicologi, uno ogni seicento abitanti. Non c’è nessuna possibilità di assorbire centomila psicologi e farli lavorare; si tratta, e mi spiace per loro perchè sono persone giovani che meriterebbero di meglio, di carne da call center.

Il mio collega riteneva che la mia critica fosse troppo feroce: in fondo, sosteneva, parliamo di “ragazzi di ventotto anni”.

Le parole però hanno un significato, e a ventotto anni uno ha smesso di avere il diritto di essere un ragazzo da un pezzo: secondo la Costituzione Italiana, da circa dieci anni. La Costituzione Italiana ci dice infatti che, con il compimento del diciottesimo anno, noi diventiamo cittadini a tutti gli effetti: possiamo sposarci, fare figli, eleggere i nostri rappresentanti e così via; nessuno ci deve spiegare come andare e cosa fare, per la nostra Costituzione noi abbiamo il diritto e il dovere di essere responsabili di noi stessi.

Abbiamo smarrito questo concetto, e il ragazzo da 14 euro al giorno è il risultato di questo smarrimento: un ragazzo che può pensare di prendere due lauree completamente inutili, rifiutare un lavoro ben pagato, farsi tenere agli studi dai propri genitori e pensare di non stare facendo niente di sbagliato; anzi pensare che è il mondo fuori che è “sbagliato”, a non dare un’opportunità anche a lui.

Questa generazione è stata chiamata “generazione boomerang”, ma io credo che sarà chiamata l’Ultima Generazione: l’Ultima Generazione a poter andare all’Università semplicemente per seguire una propria passione. Ossia, l’Ultima Generazione di ragazzi di 28 anni, da 14 euro al giorno.

giovedì 19 agosto 2010

Piccola guida al perfetto sovversivo

La morte di Cossiga ha portato nuovamente alla ribalta tutta la spazzatura relativa ai “misteri d’Italia”. Se come me avete sui quarant’anni e siete abituati a leggere giornali, saprete che uno dei più battuti è quello relativo alla loggia massonica P2 di Licio Gelli.

Negli anni, a partire da quando è stata scoperta e per tutti i trent’anni successivi, la P2 è stata il prezzemolo di ogni inchiesta italiana: da Ustica all’Italicus, da Bologna a Piazza Fontana, non c’è stata strage in cui la P2 non sia stata ritenuta o indicata come coinvolta.

Apparentemente, la P2 era una potentissima organizzazione segreta interessata a garantire che il PCI non prendesse mai il potere e che possibilmente l’Italia facesse una svolta di tipo autoritario. Da molti è stata ritenuta l’artefice della cosiddetta “Strategia della Tensione”, e comunque questa è la vulgata consolidata fra i militanti di centrosinistra.

Ora, se questo era lo scopo della P2, devo dire che il responsabile della sua organizzazione meritava di essere preso a calci nel culo. Come forse saprete, la P2 fu scoperta in seguito al ritrovamento di documenti relativi ad essa, in particolare l’elenco dei suoi membri. Il che, come organizzazione segreta, la rende estremamente anomala. Per un’organizzazione segreta E sovversiva, il problema principale è garantire la propria segretezza e la resistenza a tradimenti: è impensabile che un traditore possa far saltare l’intera organizzazione. Difatti, normalmente strutture del genere vengono realizzate con strutture compartimentali – tipicamente secondo il meccanismo delle cellule – e ciascuna persona dell’organizzazione sa solo quello di cui ha bisogno, con l’esclusione di pochissime persone ai vertici.

L’esistenza di una LISTA di nominativi, di una TESSERA di iscrizione con un numero progressivo sopra è chiaramente qualcosa che esula completamente da questo schema. Nessuna organizzazione che agisca contro lo stato può pensare di funzionare così: il rischio di traditori sarebbe immenso; organizzazioni criminali come la mafia ovviamente non hanno nessun elenco di affiliati – al massimo documenti contabili, in cui i nomi tipicamente sono scritti in codice.

Inoltre, se lo scopo era la sovversione, perché essa non è indicata esplicitamente nel famoso Piano Rinascita? Dichiarare di voler cambiare la Costituzione non è, di per se, sovversione: esistono precise procedure, e alcune sono state perfino usate durante la storia repubblicana. Manca inoltre nel Piano qualsiasi aspetto di natura violenta, come l’eliminazione degli avversari o il loro imprigionamento; cosa piuttosto singolare, considerato che il documento non era pubblicamente disponibile – in altre parole, non doveva far apparire l’organizzazione in una luce positiva, visto che era ad uso interno.

La P2 può essere stata una pericolosissima organizzazione segreta sovversiva, ma NON era organizzata come tale; non era organizzata come un’organizzazione segreta sovversiva, e non aveva la sovversione violenta fra i suoi scopi dichiarati ai propri membri.

mercoledì 18 agosto 2010

"mi diedero tre pecore da pascolare"

Una delle cose più care che possiedo è la biografia del mio nonno paterno. E’ la storia di un contadino, nato in una famiglia poverissima dell’Abruzzo nell’Italia dell’inizio del Novecento. Lo tengo molto caro, perchè mi aiuta a ricordare.

Di quel racconto ci sono pezzi che ho sempre trovato straordinari, come l’inizio di tutto il racconto: “quando cominciai a capire qualcosa, mi diedero tre pecore da pascolare; quando capii qualcosa di più, me ne diedero cinque.”

Racconta che quando lui era nato suo padre, il mio bisnonno, era andato a chiedere granone da germogliare in prestito al signorotto del paese, e quello gli aveva risposto sprezzante “Tu fai figli e vuoi che io te li campi?”

Racconta che aveva potuto studiare solo fino alla quinta elementare, e che aveva dovuto piangere per ogni quaderno che gli era stato comprato dal padre.

Racconta che quando era giovane aveva fatto il minatore, entrando in miniera prima dell’alba e uscendo al buio. E racconta di come fosse felice allora, perchè almeno riusciva a mangiare tutti i giorni.

Questa era l’Italia contadina dell’inizio del novecento, per la stragrande maggioranza degli italiani. Non era un’Italia pura, limpida, onesta; era un’Italia povera, miserabile, dove un signorotto di paese poteva riderti in faccia quando chiedevi in prestito un po’ di granone.

Da questa Italia noi ci siamo allontanati un po’, ed è interessante capire come abbiamo fatto.

Cosa ci permette di non mandare i nostri figli a lavorare a tre anni? Le leggi? No, non sono le leggi. Su un manuale di diritto stava scritto, nella prima pagina, che il diritto non può imporre un comportamento che è già largamente accettato. I bambini non lavorano più non perchè è proibito, ma perchè non serve più: i genitori ormai guadagnano abbastanza da garantire un reddito dignitoso, senza la necessità di integrarlo con i lavoro dei bambini.

Perchè i signorotti di paese non dispongono più della vita dei nostri figli? Li abbiamo resi più onesti? Abbiamo imposto delle leggi che lo facessero? Ancora, no. Semplicemente non c’è più bisogno di chiedere loro il grano per sfamarci, perchè la nostra produttività è sufficiente a garantirci il cibo di cui abbiamo bisogno.

Perchè infine i nostri figli possono studiare? Per legge, ancora? No, ancora non è questo. Le leggi non possono cambiare il mondo, le leggi CERTIFICANO che il mondo è cambiato. E’ semplicemente successo che i quaderni costassero poco rispetto al nostro reddito. Tutto qua.

Tutte le volte che sento dire che l’Italia è un paese destinato alla decadenza perchè non investe nella cultura mi viene sempre da immaginarmi quel ragazzino di tre anni, che forse assomigliava un po’ a mio figlio, e che andava in giro per le colline abbruzzesi con tre pecore.

No, signori uomini di cultura. Le cose importanti non sono quelle che voi nominate con la pancia piena, senza pensieri per il vostro futuro e senza conoscenza del nostro passato. Voi credete che il mondo sia sempre uguale a se stesso, che se oggi siamo tutti a discettare del nuovo modello di iPhone lo faremo anche fra dieci o cento anni. Ma cento anni fa – non duemila anni fa – un ragazzino doveva augurarsi di fare il minatore, per essere sicuro di non morire di fame, e sperare di non morire sepolto dentro una miniera di carbone.

Cosa farà questo paese per i prossimi cento anni, per garantire che mio figlio e tutti i ragazzi come lui non debbano andare a pascere pecore a tre anni e a lavorare in miniera a quindici? Non lo sapete? Non ne avete idea? Esatto. QUESTO è il problema che voi rappresentate.

Siete i custodi del sapere, ma non avete nessuna idea di come utilizzarlo.

lunedì 16 agosto 2010

Ma che te rode?

Una mia amica ha avuto la voglia di leggersi i miei post, e dopo la lettura, mi ha trasmesso alcune impressioni; le avevo promesso una risposta articolata (ossia, chilometrica), che riporto qui di seguito.

E’ però necessaria una premessa, che spieghi perchè io scrivo i post.

Per me, scrivere è un modo per levarmi cose dalla testa, semplicemente: io faccio automaticamente riflessioni su quello che vedo, e queste riflessioni tendono a ronzarmi nel cranio per giorni. Scrivere un post è un meccanismo comodo e semplice per levare dalla testa questo pattume, e potermi occupare in modo più concentrato di cose che mi interessano davvero, perchè magari aiutano me, la mia famiglia o le persone che mi sono care.

In questo senso, io non cerco di convincere nessuno di quello che dico: se sostengo che il partito X è governato da un gruppo di idioti e che dovrebbe sparire dal parlamento, non mi aspetto che i suoi elettori cessino di votarlo. NON sto cercando di cambiare il mondo, anche perchè cambiarlo da un blog è una tesi talmente cretina che non merita neppure di essere confutata.

Per lo stesso motivo, io scrivo piuttosto rapidamente: questo NON è un articolo per Foreign Policy, è un post su un blog scritto in dieci minuti. Quindi posso anche dire cose interessanti, ma non ho il tempo e le energie per preparare un corposo saggio su un qualsiasi argomento che non riguardi il mio lavoro.

Ora, veniamo alle obiezioni.

La prima obiezione che la mia amica mi fa è di essere troppo sarcastico, tagliente e velenoso, laddove lei preferirebbe un approccio più orientato al dialogo e al rispetto dell’altrui posizione.

Dal mio punto di vista ci sono due tipi di questioni su cui discutere:

a) la fisica di un sistema;

b) le opinioni politiche.

La fisica di un sistema è quello che è il suo comportamento osservato: se volete, sono le “leggi” che lo regolano, e che noi deduciamo attraverso l’osservazione empirica. Un esempio di queste leggi è la fisica propriamente detta, che è appunto basata su osservazioni e leggi empiriche dedotte attraverso un processo razionale; un altro esempio sono le leggi politiche descritte da Macchiavelli nel suo Principe.

La fisica di un sistema è al di fuori del controllo dell’osservatore, e delle sue preferenze: se un palazzo crollando uccide un neonato, la cosa non ci piace, ma non possiamo “modificare” la fisica del sistema perchè non ci piace il risultato prodotto: dobbiamo lavorare all’interno di tale fisica e di tali leggi per ottenere il risultato che vogliamo – nel nostro caso, garantire la statica dei palazzi che costruiamo.

Inoltre la fisica di un sistema è decidibile: possiamo verificare empiricamente se un certo sistema ha una certa fisica oppure no, ossia se obbedisce a certe leggi oppure no. Ovviamente la scienza politica e la statica hanno gradi di approssimazione diversi, ma non sono soggetti a un consenso per essere veri: un muro instabile tende a crollare, anche se tutti gli ingegneri votano che resterà in piedi, e un bene scarso tenderà ad aumentare di prezzo quando aumenta la domanda, indipendentemente da quello che ne pensano gli economisti.

Dalla parte opposta ci sono le opinioni politiche, per esempio, se sia meglio fare la facciata di un palazzo rossa oppure gialla. Qui non abbiamo criteri per stabilire cosa sia “meglio” o “peggio”, non c’è nessun calcolo da fare; in questo caso si mette la cosa ai voti, e decide semplicemente la maggioranza, anche se ha deciso per una facciata viola a pallini gialli.

In democrazia noi mettiamo ai voti tutto quello che non riguarda la fisica del sistema: non è un voto che deve decidere quanto fare alto un argine, o quanto grano ammassare per l’inverno: abbiamo modelli che ci permettono di deciderlo in modo piuttosto preciso. E’ invece un fatto da decidere a maggioranza quando fare le feste e quante feste fare, quanto lavorare e così via.

Quello su cui io sono ferocemente sarcastico è la tendenza a trasformare pezzi della fisica del sistema in opinioni politiche: ossia accreditare l’idea che affermazioni chiaramente in contrasto con la fisica, l’economia, la storia e la logica debbano essere rispettabili in quanto opinioni lecite. Con questo criterio possiamo mettere ai voti quanto deve essere alto un argine, quando cemento mettere in un pilastro, quanta energia ci serve e così via. Il risultato di questo approccio è tipicamente un disastro sul medio termine: siccome non possiamo andare contro la fisica del sistema, prima o poi questa ci ritorna addosso e ci fa fare la figura degli inetti. Per fare un esempio pratico, se decido di non costruire centrali nucleari E sono un paese privo di risorse energetiche, finirò con l’importare moltissima energia da altri paesi, compresa energia elettrica prodotta da energia nucleare in centrali vicini al mio paese.

Il che ci porta a un secondo gruppo di obiezioni: quelle relative alla democrazia. In uno dei miei post sostenevo che un politico deve ascoltare le richieste dei propri elettori, e agire di conseguenza; nel caso specifico l’affermazione era su occuparsi dei bambini soggetti a molestie in famiglia, rispetto a quelli aggrediti in luoghi pubblici. La mia amica obiettava che un politico dovrebbe occuparsi di entrambe le questioni, perchè ovviamente non esistono bambini peggiori degli altri.

L’obiezione è comprensibile, ma è sbagliata. In una democrazia un politico è eletto per fare le cose che gli elettori vogliono che faccia – indipendentemente da quello che dice il politico o l’elettore. Questo perchè il politico ha la fonte del proprio potere nel consenso che è in grado di raccogliere a ogni successiva elezione. Se io voglio che il politico si occupi dei bambini molestati in famiglia, io non devo convincere il politico, devo convincere i suoi elettori. In una democrazia, NESSUN problema che non sia chiaramente espresso e richiesto da un gruppo ragionevolmente ampio di elettori e che non comprometta la stabilità immediata del sistema stesso sarà perseguito da un qualsiasi politico.

La Lega, per fare un esempio, raccoglie un enorme consenso su aspetti che altri partiti – in particolare di sinistra hanno per anni negato che fossero problemi: l’integrazione degli immigrati e la sicurezza, tanto per fare due esempi pratici. Alla fine gli elettori di sinistra hanno smesso di votare per certi partiti, e ne hanno cominciato a votare altri che li stavano a sentire.

Per fare un esempio speculare, se consideriamo la situazione dei braccianti immigrati del Sud, vediamo esattamente lo stesso comportamento: siccome nessun politico è interessato davvero al problema (intendo che ritiene di poter ottenere consenso significativo su questo) semplicemente nessuno si occupa delle condizioni di persone chiaramente esposte a condizioni di vita semischiavistiche, laddove nelle stesse regioni ci si dispera perchè ad alcuni lavoratori è stato chiesto di non ammalarsi in modo eccessivo.

Questa è la fisica del sistema chiamata “democrazia”. Almeno così l’ho capita io.

domenica 15 agosto 2010

La sorveglianza della Banca d'Italia

Se siete giovani e ingenui, o anche se siete vecchi e ingenui, potete leggere il risultato della visita ispettiva della Banca d’Italia al Credito Cooperativo di Firenze, già diretto dall’attuale coordinatore del PdL Verdini, e giocare a indignarvi.

Che indecenza! Che cose mostruose! Crediti dati in modo arbitratio a persone non affidabili! Conflitti di interessi! Che mondo signora, che gente!

Se invece siete come me, guardate a queste cose e vi viene da sorridere: si tratta, generalmente, di cose che avvengono tutte ex post, quando la Banca d’Italia deve mettere una pezza al fatto di non aver visto niente.

Vediamo un po’ due episodi.

Il primo è il Crack Parmalat, dove una società di rilevanza internazionale riuscì a truffare migliaia di risparmiatori. Ora, vorrei ricordare che la Parmalat era enormemente esposta verso le grandi banche italiane (e straniere, ma non è importante); che i suoi bilanci, come ebbe a dire l’amministratore staordianrio Enrico Bondi, erano palesemente falsi e truccati; e che si stava parlando di esposizioni per MILIARDI di euro, non per qualche centinaia di migliaia di euro. La Banca d’Italia aveva i mezzi per conoscere queste cose – e se non li ha, francamente non si capisce la sua utilità. Semplicemente non era interessante accorgersene.

Il secondo riguarda Pisa e la vicenda della Cassa di Risparmio di Pisa. Diciamo che la Cassa, dietro la guida di Fiorani, cominciò una serie di operazioni “azzardate”, tipo prelevare forzatamente soldi da tutti i correntisti, oppure offrire prestiti a imprenditori in difficoltà per comprare azioni del proprio aumento di capitale. Di tutto questo – e di molto altro, che evito di raccontare per non prendermi querele – la Banca d’Italia non si accorse, anzi: vorrei ricordare le telefonate di Antonio Fazio, allora governatore della Banca d’Italia, per congratularsi con Fiorani alla sua scalata all’Antonveneta, eccetera eccetera eccetera.

La mia personale conclusione è che vedere il mondo bancario in generale, e la Banca d’Italia in particolare come un’isola felice di buon governo e di legalità è semplicemente illusorio. E’ un potere che sta in Italia, e gioca al gioco di tutti i poteri che stanno in Italia.

Ah sì: se qualcuno cita Ciampi, lo invito a rileggersi “Un eroe borghese” di Corrado Stajano. Tanto per non fare finta che le persone nascano a settant’anni e non abbiano un passato.

venerdì 13 agosto 2010

Tutti a lucidare il piatto d'argento.

La cosa buffa è che tutti parlano di come, e nessuno parla del cosa. La storia insegna che il cosa è sempre vincente sul come, perchè il come è, alla fine della festa, solo un modo di aumentare il valore del cosa. Fra una merda su un piatto d'argento e un cosciotto di maiale cotto su uno spiedo di legno voi cosa preferite? Appunto.

Stiamo andando verso le elezioni politiche, e i nostri ineffabili uomini politici (soprattutto i "nuovi") si ammazzano a discutere del "come": ci vogliono le primarie, ci vogliono le alleanze con l'IDV, con questo, con quello, eccetera. Tutti a lucidare il piatto d'argento.

Poi vi stupirete quando un fine intellettuale della vanga come Borghezio vi batterà con il suo spiedo di legno. Che inciviltà. Che degrado. Che decadenza.

Signori, ho una bruttissima notizia: dovete ricominciare a parlare di politica, ossia di COSE che riguardano il paese nel suo complesso. Dovete cominciare a parlare di COSA il paese produrrà per garantire il benessere dei propri cittadini, non di COME dividersi i soldi che magicamente dovrebbero comparire nei bilanci dello stato.

Dovete ricominciare a parlare di politica estera, non perchè è un argomento affascinante, ma perchè è in base a quella che potrete fare una politica commerciale. Volete vendere ai paesi arabi e africani? Allora DOVETE avere rapporti con loro; altrimenti ci andranno altri - cinesi tanto per cominciare.

Dovete ricominciare a parlare di industria, di fabbriche, di linee di produzione. Sì, è vero, una fabbrica chimica fa molto schifo e inquina anche, ma cosa pensate di vendere agli altri paesi? Salsicce? Davvero credete che bastino due salsicce per reggere un paese moderno, per garantire la sanità e l'istruzione a tutti i cittadini?

Dovete ricominciare a parlare perfino di difesa: credete davvero che i paesi arabi e africani accetteranno in eterno di avere un reddito che è una frazione di quello europeo? Oppure sperate che, in fondo, alla fine verranno gli odiatissimi americani a difenderci?

Signori, delle primarie sinceramente me ne sbatto. Se mi proponete un gruppo di candidati inguardabili, io semplicemente voto il vostro avversario; siete VOI che volete essere la classe dirigente, siete VOI che dovete scegliere e presentare gli uomini.

Preparate un programma decente, preparate una squadra di persone ragionevolmente credibile e FORSE manderete Borghezio a tornare a insegnare alla libera università della vanga.

giovedì 12 agosto 2010

Non è questo il problema

Se, come me, parlate spesso con politici di sinistra, vi sarà capitato di esporre loro un qualche vostro problema, e di aver sentito la loro risposta classica: “non è questo il problema”.

Per esempio, magari siete una donna, andate a spiegargli che vi sentite insicure ad andare in giro di notte per la città da sole, e vi sentite rispondere “Non è questo il problema: il 73,21% delle violenze contro le donne avviene in famiglia”. - Il politico di sinistra ha sempre una statistica da tirar fuori, anche se è incapace di fare una somma e una divisione.

Oppure, siete preoccupati perchè avete sentito che ci sono pedofili che hanno molestato bambini in un parco, e la risposta è “Non è questo il problema: l’82,12% degli abusi sui bambini è fatto da parenti.”

E così via. Se siete come me, prima o poi vi stufate di queste risposte, che denotano in generale supponenza e nello specifico ignoranza.

Se io sono un cittadino e vado da un politico a dirgli “ho un problema”, il politico NON PUO’ rispondere “non è questo il problema”. Un cittadino sa perfettamente qual è il suo problema, visto che ci sbatte la faccia tutti i giorni, e l’ultima cosa che vuole sentire è un politico idiota che tira fuori una statistica fatta a baccello per sostenere una tesi insostenibile.

Il politico non deve discutere il problema, deve proporre la soluzione. E la soluzione si caratterizza come “soluzione” e non come “minchiata pensata sul momento” grazie al fatto che il problema sparisce. Ripeto: una soluzione prevede che il problema per cui è stata pensato venga risolto e sparisca; altrimenti non è una soluzione.

Poi, sarebbe anche ora che qualcuno spiegasse ai politici che una statistica serve a capire dove sono i problemi, non a giocare con le parole. Mettere insieme – ad esempio – un’aggressione in strada e una violenza domestica è, statisticamente parlando, l’equivalente di sommare pere e zucchine.

Per esempio, io non sono preoccupato dei dati sulle violenze domestiche contro i bambini, perchè conosco tutte le persone che sono vicine a mio figlio e so che tipo di persone sono. E’ un fatto che posso tenere personalmente sotto controllo, su cui posso essere parte attiva. Mentre sono molto preoccupato di sentire che un pedofilo da fastidio a un bambino nel parco: lì non posso esserci sempre, e quindi è lì che chiedo al politico una soluzione.

La prossima volta che parlate con un personaggio impegnato in politica, esponetegli un vostro problema – un problema vero, non una cosa come la guerra nel Darfur o il riscaldamento globale. Ascoltate la risposta che vi da. E’ un ottimo criterio per scegliere chi votare alle prossime elezioni.

mercoledì 11 agosto 2010

Libertà di informazione

Nei paesi civili nessuno potrebbe supporre che giornali democratici, anglosassoni, possano richiedere la censura di notizie.

Queste cose avvengono solo in paesi del terzo mondo come l'Italia.

Se ci credete.......


Altrimenti leggete qui.

In pratica, il Washington Post (non Libero) stanno chiedendo di "segare" Wikileaks e il suo autore, mettendolo sotto processo, perchè mette a rischio le operazioni militari in Afghanistan. Anzi, i Talebani hanno dichiarato che stanno usando i file rilasciati da Wikileaks per scovare e uccidere gli afgani che collaborano con la NATO.

Che risultato fantastico della libertà di informazione.

Comunque, invito tutti i signori che vanno in giro con un post-it addosso a leggersi l'articolo. Potrebbe fargli venire il sano dubbio di essere semplicemente degli idioti, e non difensori della democrazia.

lunedì 9 agosto 2010

Queste cose accadono solo in Italia

Allora, è successa una cosa gravissima.

Il Primo Ministro ha detto che i rom irregolari o che commettono delitti devono essere cacciati dal territorio italiano. In Francia sono preoccupatissimi per l'ondata di rom irregolari che si potrebbero riversare nel paese.

Una cosa che dovrebbe generare l'unanime condanna contro il Primo Ministro dell'Italia, per questo atto chiaramente di stampo razzista, indegno di una destra moderna, civile ed europea.

Tutta la sinistra italiana dovrebbe mobilitarsi.

....

Ci avete creduto? Beh, era QUASI vero.

Ho solo scambiato l'Italia con la Francia.

mercoledì 4 agosto 2010

You know politica estera?

Facciamo un gioco. Domani si va al voto, e il PD si candida per sostituire Berlusconi eccetera eccetera eccetera.

Qualcuno mi racconta per favore qual è il programma di POLITICA ESTERA del PD? A parte, intendo, recuperare tutti i rapporti di qualsiasi organizzazione che dica che l'Italia fa schifo e fare sì con la testa, intendo.

Non si sente UNA parola su che cosa dovrebbe fare l'Italia nel mondo. NON semplicemente in Europa: nel mondo. Per dire, siamo immersi nel mare Mediterraneo e abbiamo di fronte un intero continente (l'Africa) dove va fatto di tutto, e non c'è uno straccio di parola sull'argomento da parte del PD. Questo mentre la Cina si sta insediando stabilmente da quelle parti, fornendo infrastrutture, autoveicoli, eccetera eccetera eccetera.

Manca uno straccio di visione che agganci gli interessi e i vantaggi geografici del paese con una politica estera e di difesa coerente. Dell'Africa si parla solo quando arriva da queste parti - ossia quando si parla di immigrazione - poi il PD sembra completamente dimenticarsene.

La visione di tanti nel centrosinistra è "invadeteci e annetteteci". Passare ad altri l'onere del governo. Ricorrere allo straniero per sconfiggere l'avversario politico locale. Roba che è pure vecchia, ed è stata inventata pure dai preti (chiedere ai Longobardi come è andata la storia).

Poi ti stupisci che vince un ex venditore di tappeti con la mania delle belle donne.

venerdì 30 luglio 2010

Mistero buffo

E' quello della P3. Già l'idea di questa "associazione segreta" pericolosissima per la democrazia fatta di tre (3) persone, dovrebbe far capire di che cosa stiamo parlando. In pratica, questi tre dovrebbero essere in grado di sovvertire l'ordine democratico, tuttavia vengono arrestati e buttati in galera come ladri di polli.

Non che la P2 fosse più seria: ossia, ti dipingono come una specie di Spectre una cosa che rilascia le ricevute di iscrizione come fosse una bocciofila; dovrebbero leggersi "La luna è una severa maestra" per sapere come si organizza un complotto....

Comunque, qui si parla di P3, non di P2. E qui si ride anche di più.

Perchè non c'è NIENTE. La polizia registra ore e ore di telefonate, e non trova NIENTE; la Banca d'Italia commissaria la banca di Verdini, e trova qualche operazione irregolare. Poi qualche operazione per qualche centinaia di migliaia di euro: a me fanno impressione, ma stiamo parlando di una banca. Sono briciole.

Infatti, l'unica cosa di cui li riescono ad accusare è di violazione della legge Anselmi. E cosa dice questa legge?

La legge è qui:

http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1982/lexs_281433.html

Questa è la legge che avrebbero violato i Pitre. A me sembra davvero poco per rappresentare un pericolo per la democrazia.

martedì 27 luglio 2010

Meritocrazia, the british way

Periodicamente gli affascinanti anglofoni de' noartri ci allietano con spiegazioni su come l'Italia sia un paese dove il merito non è premiato, e come invece i paesi anglosassoni siano così meritocratici e belli e buoni e le donne siano tutte bellissime e gli uomini tutti bravissimi.

'nzomma, un paradiso.

Ora c'è l'affascinante notizia di un simpatico signore che, dopo aver causato una perdita da 32 MILIARDI di sterline alla sua compagnia, si dimette con una buonuscita modesta: solo UN milione di sterline. Soldi per le spesucce, insomma. E si tiene anche 10 milioni di sterline del fondo pensione.

Dove succede tutto ciò? Nella corruttissima e schifosissima Italia?

Risposta sbagliata! Leggete qui e ridete.

mercoledì 21 luglio 2010

Montanelli?

Parlando con un collega molto di sinistra e molto alternativo, è uscita l'idea che Montanelli sia una specie di figura di riferimento.

Non Quirino Montanelli, oscura figura di riformatore delle valli appenniniche, noto per i suoi studi sulla condizione dei costruttori di seggiole: no, proprio Indro Montanelli, già colonna del Corriere della Sera, poi fondatore e direttore del Giornale eccetera eccetera.

Ora. Io ho letto Montanelli per dieci anni, dai 15 ai 25 più o meno. Quindi parliamo di un periodo che va dal 1985 al 1995. E leggevo anche Repubblica. Quindi SO cosa diceva Repubblica nel periodo, e SO cosa diceva Montanelli.

Montanelli era COSTANTEMENTE all'opposto di qualsiasi proposta del mondo della sinistra. QUALSIASI. E il suo giornale e i suoi giornalisti ne erano i più feroci alfieri.

Tanto per fare un esempio

- energia nucleare: Montanelli era FEROCEMENTE a favore. Non a caso per lui scriveva uno come Mario Silvestri.

- droga: Montanelli era un fortissimo sponsor di Muccioli.

- P2: Montanelli la considerava la peggiore bufala del mondo, come in generale tutto il complottismo sulle varie stragi. Uno dei suoi giornalisti era risultato perfino iscritto.

- legge Basaglia sui manicomi. Montanelli la considevara questa sì una follia, ed pubblicava regolarmente le lettere dei poveracci che si trovavano a dover gestire i familiari malati di mente - cosa che, stranamente, Repubblica non faceva mai

- Berlusconi. Montanelli lo considerava uno straordinario imprenditore, e con lui i rapporti furono sempre ottimi, finchè non avvenne la discesa in politica del Berlusconi. Comunque, Montanelli difese le TV private per ANNI dagli attacchi della sinistra.

Tutto questo tanto per andare a memoria. Si può parlare di politica estera, di politica interna, di politica economica, di quello che vi pare: Montanelli era a sostenere idee OPPOSTE a quelle della sinistra alternativa. Non diverse: OPPOSTE.

E questo sarebbe il modello della sinistra?

domenica 16 maggio 2010

Leggere le notizie: il disastro del Golfo

Ci sono ovviamente molti modi di leggere le notizie.

Uno è limitarsi a leggere quello che il giornalista racconta. Equivale a comportarsi da bovino bipede.

L'altro, più difficile ma più interessante, è fare le domande che il giornalista non si fa. Ossia cercare di risalire un gradino più in alto nella catena dell'evoluzione.

Il famigerato disastro del golfo del Messico, con un pozzo petrolifero che non si riesce a chiudere, è un utile esercizio di progresso evolutivo.

Prendiamo la notizia in cui si dice che "stanno tentando di calare una campana di cemento armato sul pozzo" e "hanno fallito per una condizione a cui non avevano pensato".

Cosa vuol dire questo? Vuol dire, semplicemente, che non erano pronti. Stanno agendo a casaccio. Un'operazione del genere non si prova al momento del disastro: si prova mesi prima, per studiare tutte le condizioni in cui poterla applicare.

Se la compagnia fosse stata seria (niente di grosso, tipo un ministero italiano) avrebbero provato a calare la campana a profondità crescenti, e in condizioni di mare via via più avverso. Avrebbero provato con pozzi simulati per essere sicuri di poter effettuare la manovra, e che il sistema avrebbe catturato correttamente il petrolio. In questo modo avrebbero evitato di scoprire, QUANDO NON HANNO TEMPO, i problemi.

La compagnia è invece una compagnia speculativa. Funziona come una finanziaria: scommette sul fatto che il disastro non accadrà, per cui non servono le procedure di sicurezza. In parole povere, non sanno cosa fare.

Esagero? E' di pochi giorni fa la notizia di un sito web, aperto dalla compagnia stessa, in cui tutti possono dare suggerimenti su come porre rimedio al disastro. Questa è FOLLIA. Equivale a dire "non sappiamo cosa fare e non sappiamo a chi rivolgerci". Una società che macina utili dell'ordine dei miliardi di dollari DEVE sapere a chi rivolgersi; DEVE avere una lista di persone del massimo livello scientifico da coinvolgere in caso di necessità.

Deve, in breve, essere pronta a gestire il disastro. Questo non è il caso.

Quando vi parlano del mitico estero, pensate al golfo del Messico.

mercoledì 21 aprile 2010

L'Aquila volta le spalle a Bertolaso

«Sembra giusto da parte di un organo consiliare prendere una decisione di questo tipo - spiega Sara Vegni - e questo per due motivi: da una parte riservare un riconoscimento di questo tipo ad una sola persona significherebbe escludere tutto quel sistema di volontari che ha lavorato nelle prime fasi dell'emergenza; la seconda ragione - prosegue Sara Vegni - è che l'assistenza alla popolazione cittadina rappresenta un diritto e non qualcosa che più volte è passato come un "regalo" da parte del governo e della Protezione civile»


Il resto qui.

Bravi, sette più. Uno sta piantato dentro l'ufficio diciotto ore al giorno per cercare di darti un tetto, e la risposta che si sente dare è "questo è solo un nostro diritto".

Benissimo, al prossimo terremoto potete prendere pala e piccone e darvi da fare da soli. Vi si chiedeva di dire un grazie, mica di dargli le vostre figlie vergini.

giovedì 1 aprile 2010

L'integrazione per annullamento

Ecco un esempio perfetto di integrazione per annullamento.

Poi che i leghisti prendono voti.

Le vestali della RAI

Possiamo vedere un esempio di vestale della RAI in questo articolo, oggi guarda caso su Repubblica.

Mi spiace per la Busi, ma lei e i suoi colleghi si dovevano svegliare un po' prima e ricordarsi che a fare sponda con i politici prima o poi si paga.

Minzolini è stato messo lì per motivi politici, ESATTAMENT COME la stragrande maggioranza dei giornalisti della RAI.

"nessuno aveva mai osato tanto". Certo. Un direttore rimuove questo o quel giornalista, ma sta "osando tando". Come si permette? Non sa che un giornalista della RAI ha il posto per investitura divina? Lui in fondo è solo il direttore di una testata.

Buffo sentire certe cose da chi invoca continuamente il merito, la valutazione e quant'altro, e poi si scandalizza quando questo viene applicato.

E mi spiace essere io a dirlo alla Busi, ma la valutazione è un processo arbitrario ed esterno a voi. Il merito sono gli altri a stabilirlo, non siete voi.

"non conta la fidelizzazione del pubblico, rispetto ai volti storici?"

Certo, come no. Bisogna rinnovare tutto, TRANNE i giornalisti del tg. Ci mancherebbe. Il paese è gerontocratico, lottizzato, ma ovviamente i giornalisti ne sono fuori.

No, mia cara Busi e cari giornalisti RAI. La RAI è da decenni il luogo di lottizzazioni varie ed eventuali; questo, al di là delle chiacchiere di circostanza, è andato bene a tutti, e in particolare a quelli che lì dentro ci hanno fatto carriera.

Se oggi Minzolini "osa tanto" è perchè il potere nel paese si è spostato, e la RAI riflette questi equilibri di potere. Il PSI entrò nella seconda rete quando cominciò ad affermarsi nel paese come forza di governo.

La RAI è da decenni che edulcora la realtà, che tiene lontane le notizie che danno fastidio, che non parla o parla poco. I servizi sui ragazzi che erano morti in carcere per le botte sono arrivati DOPO le denunce dei parenti; e c'è voluto un tizio come Saviano per far scoprire alla RAI chi erano i Casalesi e il loro clan. Per trascurare aspetti come i carabinieri che fanno bande criminali per ricattare trans e loro clienti.

La vera lamentela è qui:

"La verità è che il nostro è sempre stato un giornale in cui la dialettica nella redazione tra le diverse sensibilità è stata sempre rispettata."

Che tradotto dal giornalistese, vuol dire: prima si lottizzava senza pestarsi i piedi a vicenda, un po' a me, un po' a te, si davano le notizie che non davano fastidio a nessuno. Quello che la Busi rimpiange non è una RAI indipendente: è una RAI che dipende da tutti i partiti.

Quello che la Busi non vuole accettare è che il suo partito di riferimento è allo sbando, e come tale non è in grado di esercitare alcun potere. E quindi, la sua poltrona, che come tutte le altre poltrone di quel livello in RAI NON è determinata dalla professionalità del giornalista, ma solo dal congresso a cui partecipa, ora rischia.

Quando la Gruber si candidava al Parlamento Europeo, qualcuno di voi ha protestato per l'evidente incompatibilità? O quando lo ha fatto Santoro? E quando si è dimesso per tornare a fare il conduttore in RAI, qualcuno ha detto "non va bene"? Marrazzo non era uno dei vostri?

Vi ha fatto comodo essere in RAI per una tessera, e non per i vostri meriti. Vi ha fatto comodo fare i contoterzisti della politica di questo o quel partito. Non dovevate cercare le notizie; bastava intervistare questo o quel politico su questa o quella cosa, ed avevate fatto giornalismo.

Mi spiace per voi. Anzi. Anche no.

venerdì 26 marzo 2010

Fregnacce 2020: the next generation

Dunque dunque.

Dato il successo del precedente post (zero commenti) ho deciso di procedere sul commento dei mitici obiettivi per Europa 2020.

Oggi parliamo di questo:

- Reduce the share of early school leavers to 10% from the current 15% and increase the share of the population aged 30-34 having completed tertiary education from 31% to at least 40%.

Nello stesso tempo, si richiede di:

- Raise the employment rate of the population aged 20-64 from the current 69% to at least 75%.

I due obiettivi sono ovviamente in contraddizione. Se aumento la quantità di persone che studia molto a lungo, tipicamente l'occupazione si ridurrà (a patto di non contare come disocuppati quelli che studiano e non lavorano, cosa che di fatto essi sono).

Ma la cosa drammatica è l'idea di incrementare il numero di laureati fra la popolazione. In pratica, questi pensano che sia un gran figata se il cameriere che ti serve al bar ha una laurea in fisica nucleare, il postino ha una laurea in medicina e l'elettricista è un ingegnere elettrotecnico.

La cosa è talmente idiota che è incommentabile. A patto di non pensare che i cittadini europei facciano i fighi laureati, e gli sfigati immigrati facciano il lavoro sporco.

venerdì 5 marzo 2010

Fregnacce per il 2020

Come sempre, la Commissione Europea si sforza di trovare motivi per convincere gli europei che l'Europa unita è una pessima idea.

La nuova idea si chiama Europa 2020, ed è raccontata qui.

Come tutti i documenti europei, è pieno di parole molto ben scritte per giustificare obiettivi spesso ridicoli. Gli obiettivi di questo progetto sono riportati qui.

Mi voglio oggi concentrare sull'obiettivo numero 3, in particolare sulla riduzione di gas serra.

Ora, è interessante notare come viene dato questo obiettivo: è una percentuale rispetto a un valore baseline, posto arbitrariamente al 1990. E' interessante perchè spiega che spesso gli obiettivi europei sono fregnacce scritte in buon inglese.

Nel nostro caso, si propone una riduzione percentuale, uniforme per tutti, rispetto a un punto X prefissato in modo arbitrario. La domanda giusta è, perchè? Che giustificazione pratica ha una cosa del genere?

La cosa che avrebbe più senso è definire invece un valore di riferimento, per esempio di gas serra per abitante, possibilmente distinto per paesi grandi e piccoli e/o per paesi industrializzati con industrie pesanti o leggere, e ragionare di conseguenza.

Che senso ha, ad esempio, imporre lo stesso obiettivo a un paese con una base industriale come la Germania e a un paese come l'Irlanda? Oltre tutto, si tende a premiare chi nel passato è stato meno efficiente rispetto a chi è stato più efficiente; nello specifico, l'Italia risulta ovviamente fortemente penalizzata.

lunedì 1 marzo 2010

Idiozie formali

Dopo il Lazio, la Lombardia, con l'esclusione della lista di Formigoni.

Francamente trovo ridicola l'idea di fare un'elezione escludendo i principali candidati o le principali liste per vizi di forma. Quale sarebbe il valore sostanziale di queste elezioni?

Le elezioni sono, a quanto mi risulta, una forma di democrazia; servono ad esprimere la volontà popolare nella scelta dei rappresentanti. I vincoli formali sui tempi e sulle presentazione delle liste servono a garantire la migliore possibilità di scelta e i tempi di organizzazione, NON a escludere questo o quel partito per vincoli di forma.

Vogliamo dare ai giudici il potere di decidere chi si può candidare e chi no? Se il PD avesse un po' di buon senso, proporrebbe immediatamente di portare un decreto urgente in Parlamento per sanare la situazione.

Che idiozia......

giovedì 11 febbraio 2010

Ragionare dei dati

Ieri ho avuto uno scambio di opinioni abbastanza accese, su questo blog qui:

http://www.alfonsofuggetta.org/?p=7167.

Si parlava di un grafico "Eurostat", che poi Eurostat non era, a proposito di PIL per abitante.

La cosa buffa nella discussione è stata che, finchè stavamo sul generico, le risposte erano pronte e taglienti; appena ho fatto qualche ragionamento di natura metodologica, i miei interlocutori sono spariti.

Apparentemente mostrare gli errori logici e metodologici di un altro è un grave affronto. Mah...

domenica 17 gennaio 2010

Creare la conoscenza

Qualche giorno fa, durante una riunione con un gruppo di persone per parlare di politica, è stata fatta l'affermazione che "ormai non si creano più contenuti, si lavora tutti di copia e incolla".

Venivano citate cose come il Web 2.0, l'intelligenza collettiva e i comportamenti emergenti. In pratica, si diceva, "con tutti i contenuti disponibili tramite Web, ormai è inutile creare qualcosa di nuovo; basta copiare quello che c'è già."

L'affermazione è corretta come descrizione della realtà. E' vero infatti (e chiunque abbia fatto una ricerca su Internet se ne è accorto) che ormai i siti tendono a scopiazzare informazioni in modo meccanico. Per questo su certi argomenti si ritrovano esattamente le stesse frasi riportate più e più volte (tipicamente, a partire da un articolo originario di Wikipedia).

Tuttavia, questo NON è una situazione normale, o auspiscabile. Il problema ovvio è che, all'aumentare delle informazioni disponibili, bisogna rendere sempre più efficienti i nostri strumenti per gestirla in modo efficiente; altrimenti, ogni nostra decisione potrebbe essere sommersa da miriadi di informazioni contrastanti, e prive di valutazione.

E' proprio delle persone capaci creare visioni generali, quadri d'insieme, a partire da informazioni apparentemente scollegate. E' particolarmente vero in matematica e in fisica, ma è altrettanto vero nelle materie umanistiche: la capacità di sintesi a partire da una massa indistinta di informazioni è ciò che rende queste informazioni utilizzabili e gestibili in modo sistematico.

La mancanza di questa visione denuncia in realtà il vero problema, che è alla base dell'affermazione che "si lavora tutti per copia e incolla": la scarsa capacità di leggere in modo non superficiale. Ho avuto spesso fra le mani documenti di natura tecnica, proposti da amministrazioni pubbliche o società private, che apparivano come un'accozzaglia di parole priva di una qualche struttura logica; una struttura che ne rendesse chiaro lo svolgimento del pensiero, che ne permettesse una lettura organica e che chiarisse gli obiettivi e le finalità del documento.

La sintesi non è un processo puramente formale: esso richiede che comprenda cosa riporta un testo, se ne estraggano le informazioni ritenute utili al proprio scopo e si presentino nei modi e nelle forme più appropriate a tale scopo. Questo processo è faticoso, ma produttivo, poichè genera nuova informazione e non si limita a copiare ciò che già esiste.

E se un documento non genera nuova informazione, ma si limita a riprodurre informazioni già esistenti, il suo scopo è nullo.

Portare la qualità al Sud (e in Italia)

Non è recentissimo, ma leggerlo non guasta.


Le terre dell’Italia del Sud e in generale le terre del Sud del mondo hanno futuro soltanto se i giovani di talento decidono di restare o di tornarci.

lunedì 4 gennaio 2010

Aumento record degli investimenti in R&D delle imprese italiane nel 2008

E' stato pubblicato dalla Commissione Europea il 2009 EU Industrial R&D Investment Scoreboard.

Si tratta di un'indagine, in cui si confrontano gli investimenti in R&D da parte delle diverse imprese europee.

Il dato interessante è che l'Italia è che le imprese italiane sono quelle che hanno maggiormente aumentato i propri investimenti in R&D (oltre il 20%) a livello europeo.


Companies based in Germany (the largest R&D investor) increased their R&D
investment by 8.9%. EU Member States where companies grew their R&D well
above the EU's average were Italy (20.4%), Sweden (17.0%), Denmark (16.4%)
and the UK (11.3%). The lowest performance in the EU was the R&D
investment by companies based in Finland (1.6%), France (0.7%) and Belgium
(-0.8%).


Fra le prime imprese viene indicata STMicroelectronics, ma è indicata come società olandese. Ho chiesto chiarimenti, perchè sembra un errore.

La più grande fabbrica italiana di pannelli solari

Potete leggere la notizia qui:

Un accordo fra Enel Green Power, Sharp e StMicroelectronics porterà a Catania la più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici in Italia. L'impianto, che sorgerà nel sito esistente "M6" di StM, nella zona industriale etnea, partirà da una capacità produttiva annuale di pannelli fotovoltaici di 160 MW, che crescerà nei prossimi anni fino a raggiungere i 480 MW.

domenica 3 gennaio 2010

Parlare dell'eccellenza italiana

Da oggi questo blog cambia impostazione, e diventa ancora più sfacciatamente di parte, per parlare dell'eccellenza italiana.