mercoledì 18 agosto 2010

"mi diedero tre pecore da pascolare"

Una delle cose più care che possiedo è la biografia del mio nonno paterno. E’ la storia di un contadino, nato in una famiglia poverissima dell’Abruzzo nell’Italia dell’inizio del Novecento. Lo tengo molto caro, perchè mi aiuta a ricordare.

Di quel racconto ci sono pezzi che ho sempre trovato straordinari, come l’inizio di tutto il racconto: “quando cominciai a capire qualcosa, mi diedero tre pecore da pascolare; quando capii qualcosa di più, me ne diedero cinque.”

Racconta che quando lui era nato suo padre, il mio bisnonno, era andato a chiedere granone da germogliare in prestito al signorotto del paese, e quello gli aveva risposto sprezzante “Tu fai figli e vuoi che io te li campi?”

Racconta che aveva potuto studiare solo fino alla quinta elementare, e che aveva dovuto piangere per ogni quaderno che gli era stato comprato dal padre.

Racconta che quando era giovane aveva fatto il minatore, entrando in miniera prima dell’alba e uscendo al buio. E racconta di come fosse felice allora, perchè almeno riusciva a mangiare tutti i giorni.

Questa era l’Italia contadina dell’inizio del novecento, per la stragrande maggioranza degli italiani. Non era un’Italia pura, limpida, onesta; era un’Italia povera, miserabile, dove un signorotto di paese poteva riderti in faccia quando chiedevi in prestito un po’ di granone.

Da questa Italia noi ci siamo allontanati un po’, ed è interessante capire come abbiamo fatto.

Cosa ci permette di non mandare i nostri figli a lavorare a tre anni? Le leggi? No, non sono le leggi. Su un manuale di diritto stava scritto, nella prima pagina, che il diritto non può imporre un comportamento che è già largamente accettato. I bambini non lavorano più non perchè è proibito, ma perchè non serve più: i genitori ormai guadagnano abbastanza da garantire un reddito dignitoso, senza la necessità di integrarlo con i lavoro dei bambini.

Perchè i signorotti di paese non dispongono più della vita dei nostri figli? Li abbiamo resi più onesti? Abbiamo imposto delle leggi che lo facessero? Ancora, no. Semplicemente non c’è più bisogno di chiedere loro il grano per sfamarci, perchè la nostra produttività è sufficiente a garantirci il cibo di cui abbiamo bisogno.

Perchè infine i nostri figli possono studiare? Per legge, ancora? No, ancora non è questo. Le leggi non possono cambiare il mondo, le leggi CERTIFICANO che il mondo è cambiato. E’ semplicemente successo che i quaderni costassero poco rispetto al nostro reddito. Tutto qua.

Tutte le volte che sento dire che l’Italia è un paese destinato alla decadenza perchè non investe nella cultura mi viene sempre da immaginarmi quel ragazzino di tre anni, che forse assomigliava un po’ a mio figlio, e che andava in giro per le colline abbruzzesi con tre pecore.

No, signori uomini di cultura. Le cose importanti non sono quelle che voi nominate con la pancia piena, senza pensieri per il vostro futuro e senza conoscenza del nostro passato. Voi credete che il mondo sia sempre uguale a se stesso, che se oggi siamo tutti a discettare del nuovo modello di iPhone lo faremo anche fra dieci o cento anni. Ma cento anni fa – non duemila anni fa – un ragazzino doveva augurarsi di fare il minatore, per essere sicuro di non morire di fame, e sperare di non morire sepolto dentro una miniera di carbone.

Cosa farà questo paese per i prossimi cento anni, per garantire che mio figlio e tutti i ragazzi come lui non debbano andare a pascere pecore a tre anni e a lavorare in miniera a quindici? Non lo sapete? Non ne avete idea? Esatto. QUESTO è il problema che voi rappresentate.

Siete i custodi del sapere, ma non avete nessuna idea di come utilizzarlo.

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