Qualche anno fa andai a parlare con l’assessore all’Istruzione della mia città. Ero andato lì semplicemente perchè avevo scoperto che, secondo il regolamento in vigore, i dipendenti a tempo indeterminato avevano priorità rispetto ai cocopro, alle partite IVA individuali e, infine, ai praticanti negli studi professionali. La priorità era a prescindere dal reddito, ma era determinata esclusivamente dalla classe di appartenenza.
L’assessore mi ricevette senza grandi problemi: era una signora sui cinquanta, cinquantacinque anni, molto gentile e molto disponibile. Ricordo che ci volle molto tempo – molto tempo – a convincerla che quel regolamento era completamente sballato. Alla fine le feci un esempio banale: “Un ragazzo con un contratto di 800 euro da cocopro, assunto dal Comune, ha meno diritto all’asilo nido per suo figlio del direttore amministrativo che prende 5.000 euro al mese”. Ricordo molto bene lo stupore della persona di fronte all’osservazione; semplicemente non si era mai posto il problema in questi termini.
La cosa buffa era che si trattava del periodo in cui tutta la sinistra parlava dei cocopro e dei precari, del fatto che i giovani erano penalizzati (era l’epoca dei mutui per i precari, se qualcuno se la ricorda). In pratica, a fronte di tante parole, quando si trattava di andare al sodo – ossia di decidere a chi permettere di accedere a un servizio pubblico, e chi lasciare fuori – si tornava al normale modo di ragionare della sinistra: i dipendenti sono buoni e giusti, gli altri sono cattivi evasori fiscali che non meritano nulla.
Perchè vince? Mentre pensate a una risposta diversa dal “perchè ha le tv”, andiamo avanti.
Alcuni anni fa un certo signore emiliano divenne presidente del consiglio. Una delle riforme che propose fu quella di allegerire il cosidetto “cuneo fiscale”, in pratica la differenza fra quello che il lavoratore dipendente si mette in tasca e quello che tira fuori l’azienda – oggi il rapporto è circa 6 a 10.
In effetti il signore emiliano divenne presidente del consiglio, e in effetti attuò la riduzione del cuneo fiscale; alla fine dell’anno in cui fu varata la riforma, una mia collega rinnovò il suo contratto di cocopro, ma dovette accettare una riduzione dello stipendio, perchè “erano aumentati i contributi”.
Che cosa era successo?
La riduzione del cuneo fiscale voleva dire che lo stato, nell’immediato, non avrebbe incassato dei soldi; la teoria era che la riduzione avrebbe favorito un’occupazione più stabile, e la stabilizzazione dei precari. Questo avrebbe potuto comportare un aumento del gettito fiscale, in grado di migliorare i conti dello stato e quindi compensarli della misura stessa.
In pratica, i conti dello stato italiano sono cosa delicata, e quindi se tiri fuori subito X, devi avere un posto che ti dia subito X per compensarlo. Quindi il signore emiliano fece quanto segue:
- le aziende che avevano lavoratori dipendenti videro ridurre del 3% i costi dei lavoratori dipendenti;
- i dipendenti delle stesse videro ridurre del 2% le trattenute in buste paga;
- furono aumentati del 2% i contributi a carico dei cocopro
- furono aumentati del 3% i contributi a carico delle aziende che assumevano i cocopro.
La giustificazione era che si intendeva ridurre la convenienza dei cocopro rispetto ai lavoratori dipendenti, favorendo quindi la loro assunzione a tempo indeterminato. Questa era la teoria. La fisica del sistema, come sempre, è un’altra cosa, e il signore emiliano – che era fra l’altro un notissimo economista – non poteva ignorarla.
Le aziende che assumono cocopro non assumono cocopro per pura cattiveria – non tutte almeno – ma semplicemente perchè il mercato in Italia è fatto così. La differenza di costo fra un cocopro e un dipendente è tale da non poter essere veramente toccata da una riduzione tutto sommato così piccola.
In compenso, però, le aziende non vogliono vedere aumentare i costi del personale, dato che spesso lavorano su gare e su progetti a budget determinato. Quindi non hanno fatto altro che scaricare sui loro cocopro il costo extra che avrebbero dovuto pagare.
Ora vediamo i dipendenti a tempo indeterminato. Loro un piccolo beneficio l’hanno avuto, ma il vero, grande beneficio l’hanno avuto le imprese con moltissimi dipendenti. Queste si sono viste riconoscere un credito di imposta molto ampio, in proporzione al numero dei loro dipendenti. E’ vero che originariamente erano state escluse alcune tipologie di aziende già “ricche”, come banche e assicurazioni, ma stranamente la legge non era fatta molto bene, e con un ricorso le imprese escluse riuscirono ad ottenere di essere riammesse al beneficio.
Quindi, riassumiamo brevemente:
i cocopro hanno, di fatto, visto una decurtazione del 5%;
le aziende che assumevano cocopro sono andata a pari;
i dipendenti hanno avuto un piccolo beneficio del 2%;
le grandi imprese hanno avuto un grande beneficio in forma di credito di imposta.
Ossia, se ragionate come ragiono io, i cocopro hanno finanziato le grandi imprese, a costo zero per lo stato.
Allora, rifaccio la domanda: perchè vince?
La risposta è semplice: perchè c’è una generazione di persone che lo vota. E lo vota perchè l’alternativa è fatta di persone che, AD OGGI, non riescono ANCORA a vedere lo schifo che fa un regolamento per l’assegnazione dei posti negli asili nido in cui conta la classe e non il reddito.
Vince perchè sa che, al di là delle belle parole, per loro – per noi – dall’altra parte non c’è nulla.
Vince perchè da un messaggio forse non entusiasmante, ma sincero.
"Arrangiatevi"